Si continua a parlare del “caso Turetta” e del sostegno che il padre darebbe e avrebbe dato al ragazzo. Alcune frasi fanno discutere e accendono il faro sul ruolo sempre più discusso del rapporto educativo malsano, tra genitori e figli, un ruolo che talvolta sfugge di mano agli adulti che diventano troppo protettivi e arrivando a perdonare e giustificare qualunque atteggiamento, fino all’omicidio.

Parlando con esempi generali, non possiamo sapere se questo è il caso, accade tutti i giorni, si comincia in età scolare, quando i professori, scrivono le prime note sul registro, “il bambino si rivolge con prepotenza verso i compagni”, “l’alunno risponde agli insegnanti” e via dicendo.

I genitori aprono il diario, ascoltano il figlio, vanno in istituto e affrontano l’ insegnante che ha scritto la nota. Una nota, una piccola “sanzione” che la famiglia dovrebbe “sfruttare” per aiutare il bambino a capire i propri errori.

Genitori e insegnanti, nessun confronto, una certezza, “mio figlio è un ragazzo per bene, lo conosco, avrà le sue buone ragioni”, frasi trite e ritrite, talvolta pronunciate proprio davanti ai bambini, che invece di correggere un atteggiamento, vengono rinforzati e “istigati” a ripeterlo.

Accade ancora quando con le prime telefonate, gli amici di famiglia, i vicini o gli agenti chiamano a casa perché hanno fermato il ragazzo durante una rissa, un furto, una rapina, il consumo di sostanze stupefacenti.

“Non è stato  mio figlio, lui non c’entra, è finito in mezzo ad amicizie sbagliate, lui non ha fatto nulla! stava solo guardando”

Giustificazioni, ancora giustificazioni. Azioni talvolta commesse da figli che cercano di attirare le attenzioni. I genitori lo sanno, soffrono per i sensi di colpa, non stanno proteggendo i figli, stanno cercando di non sentirsi responsabili e non accettano il peso dei processi educativi.

Ecco come si svolgono le dinamiche, “un azione senza responsabilità, senza le giuste conseguenze”, il ragazzo viene protetto, schermato, i genitori cominciano un triste e pericoloso percorso che potrebbe portare il giovane ad avere gravi ripercussioni a causa del suo comportamento futuro.

La scuola è un istituzione, la prima con cui i giovani si rapportano e i genitori dovrebbero ricordarsi che in questo ambiente, è possibile cavarsela con una nota, con una sospensione, al massimo con una bocciatura, che a scuola si comincia a subire il peso delle proprie azioni, ed è proprio li che possiamo collaborare tutti uniti per crescere i nostri figli trasferendo loro i nostri valori. Invece no, ciò non accade.

Successivamente il figlio viene idealizzato, diventa quell’immagine perfetta simile ad un angelo, un immagine che i genitori gli attribuiscono per puro egoismo, narcisismo, manie di onnipotenza. “Se mio figlio è perfetto, è merito mio, l’ho educato e cresciuto io”.

I genitori hanno bisogno di sentirsi speciali, migliori dei loro, quando i figli soffrono per le punizioni, causa delle loro azioni e lo fanno manifestando malessere e tristezza, con pianti e scatti di rabbia, i genitori fragili si sentono in colpa, i figli  lo capiscono e imparano. Si inverte il rapporto. A quel punto  diventano i genitori a non dover deludere i figli. La macchina infernale si è attivata, al contrario, da li in avanti tutto è possibile.

Ipotesi a parte, non possiamo sapere se questi atteggiamenti hanno interessato i Turetta, torniamo ai fatti, alle frasi che sarebbero state dette dal padre al figlio. Il 3 dicembre scorso, nella saletta del carcere. «Hai avuto un momento di debolezza. Non sei un terrorista» dice il padre all’assassino di Giulia Cecchettin, e poi ancora «Fatti forza, non sei l’unico. Ci sono altri 200 femminicidi», una frase che sembrerebbe detta per sollevare un figlio ormai a terra, una persona che non avrebbe fatto nulla di particolarmente grave, per affondare con un “Non sei stato te!”.

Un probabile gesto di continuità che in passato ha deformato una persona trasformandola in un assassino.

Filippo Turetta, si consuma l’assurdo, probabilmente non gli è stata data l’opportunità di crescere, di soffrire e gioire, di affrontare le sue ansie, le sue paure, i rifiuti e le gioie, ma nemmeno di far crescere la propria autostima in maniera sana, come sarebbe accaduto, se fosse migliorato anche grazie al peso delle conseguenze  delle sue piccole azioni. Si tratta sempre di ipotesi.

Adesso Filippo, non ha più un professore che scrive una nota su un diario, questa volta si tratta di un Giudice, di una sentenza! non si può tornare più in dietro.

Una cosa è certa, dobbiamo accendere un dibattito serio e al più presto.